SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 31.5.05 e ritualmente notificato S.A. conveniva in giudizio la S.p.a. Poste Italiane esponendo che:
erano stati assunti a tempo determinato ed applicati presso l'ufficio postale di B. con un contratto, relativo al periodo dal 18.6.03 al 15.9.03 motivato:
"A i sensi dell'art 1 d.lgs 368\01 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'area operativa e addetto al servizio recapito assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro"
Deducevano in diritto - sotto più profili - la nullità del termine apposto ai contratti e conseguentemente chiedeva accertarsi la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di efficacia del prima contratto, con contestuale condanna della società alla riammissione in servizio e alla corresponsione della quantificata retribuzione dalla data della cessazione illegittima del rapporto e fino alla riammissione, oltre rivalutazione e interessi dalla maturazione al saldo.
Con deposito di memoria difensiva si costituiva in giudizio la S.p.a. Poste Italiane, la quale preliminarmente eccepiva la inammissibilità della domanda; nel merito ne contestava la fondatezza e ne chiedeva i1 rigetto.
In particolare deduceva che la recente trasformazione della società aveva reso necessaria una ristrutturazione e riorganizzazione dell' attività produttiva con conseguente squilibrio occupazionale, in termini di carenza da un lato e di esubero dall'altro, che aveva determinato, unitamente al ricorso alla mobilità collettiva per consentire il trasferimento del personale, anche l'utilizzo di contratti a termine per sopperire a tali contingenti carenze di risorse lavoro nelle attività produttive. Evidenziava inoltre che in data 18.1.2001 era stato raggiunto un accordo con le OO.SS. firmatarie del CCNL, con il quale, con specifico riferimento ai contratti a tempo determinato stipulati da Poste Italiane S.p.a., le parti ribadivano che i contratti medesimi, disposti secondo quanto previsto dall'art. 8 del CCNL 26.1.1994 così come modificato, in attuazione dell'art. 23 della legge 56/1987, dall'accordo integrativo del 25.9.1997, si erano resi necessari in conseguenza degli avviati processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale.
All'odierna udienza i ricorrenti rinunciavano alla domanda di reintegra nel contempo insistendo nella richiesta di condanna della controparte al pagamento delle retribuzioni a far data dalla costituzione in mora individuabile nel telegramma esibito o in alternativa nella richiesta di tentativo di conciliazione; la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata.
Innanzitutto va determinata la disciplina normativa cui le clausole apposte ai predetti contratti vada ricondotta.
Il contratto è stato stipulato nella vigenza del d.lvo n. 368\01, ma tale rilevante circostanza non ha formato oggetto di alcuna deduzione nè da parte della ricorrente nè da parte della convenuta, avendo entrambe riprodotto allegazioni ed argomentazioni standard di analoghi giudizi relativi a contratti stipulati nel vigore della legge n. 230\62 e dell'art. 25 ccnl 11\1\01.
L'art. 1\1° c. d.lvo n. 368\01 prevede che è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. L'art. 11\2° c. del citato d.lvo prevede che in relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'art. 23 della legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi ed in base a tale disposizione manterrebbe efficacia l’art. 25 ccnl dell'11\1\01.
La clausola contrattuale si limita a fare riferimento alla "vigente normativa" senza con ciò fornire chiare indicazioni atteso che "vigenti" sono sia la disposizione dell'art. 11 che quella dell'art. 1. Se da un lato la causale apposta al contratto riproduce in parte la generica formulazione dell'art. 25 ccnl dell'11\1\01 le ulteriori indicazioni in essa contenute la distinguono da tale previsione, dandole una connotazione propria che fa propendere piuttosto per la tesi che la disciplina cui le parti hanno inteso fare riferimento e quella innovativa introdotta dall'art. 1.
Fatta tale precisazione ed in relazione ad essa che vanno valutate le deduzioni delle parti a prescindere dai non corretti riferimenti contrattuali e normativi dalle stesse utilizzati, in una interpretazione complessiva delle allegazioni in esse contenute e nel rispetto del generale principio di "salvezza degli atti", lamentando da una parte la ricorrente l'infondatezza della motivazione addotta e dall'altro la società difendendo la propria scelta.
E' noto che con il d.lvo n. 368\01 si è inteso, innovando la vecchia disciplina, dare attuazione alla direttiva 1999\70\CE e con l'art. 1 si è stabilito che "è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (comma 1°). Tali ragioni devono necessariamente essere specificate nell'atto scritto (I'accordo) con cui viene apposta la clausola del termine (comma 2°); quindi non è valido un mero richiarno alla previsione legale (assai generica ed ampia), ma occorre individuare in modo preciso le ragioni concrete che giustificano l'apposizione del termine, considerato che anche la nuova disciplina, per come di seguito meglio chiarito, sancisce l’eccezionalità di una durata temporanea del rapporto di lavoro subordinato.
La necessità di una puntuale specificazione risponde alle vincolanti indicazioni contenute nella citata direttiva che consente l'utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo solo se basati su ragioni oggettive e ciò al fine di prevenire abusi (art. 6 accordo del 18\3\99 cui la direttiva ha dato attuazione).
Pertanto è necessario, per come affermato anche da uno dei primi commentatori della legge, che tali ragioni emergano preventivamente dall'accordo scritto, onde evitare un'inammissibile ricerca a posteriori di una giustificazione per la avvenuta copertura a termine di un'occasione permanente; di fatto l'accresciuto rigore formale bilancia l'allargamento della giustificazione sostanziale di fonte legate. Le ragioni devono essere "specificate" e quindi non bastano formulazioni generiche o di stile, ma necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell'occasione lavorativa oppure l'oggettiva esigenza di utilizzare il lavoro a termine nonostante il carattere permanere dell'occasione di lavoro.
Con riferimento al caso in esame tale requisito non appare rigorosamente rispettato.
Non può certo ritenersi specifica la causale utilizzata nel contratto impugnato dove si fa generico ed indifferenziato riferimento ad una varietà di "esigenze", spaziando da quelle tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ad esigenze conseguenti all'introduzione e\o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi ed ancora a quelle relative all'attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11\1\02 ed anche la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo.
Le richiamate causali non possono certo definirsi "specifiche" nell'accezione legislativa concretandosi in varie formule generiche, riferite a diverse e distinte ipotesi che finiscono per rendere impossibile la verifica della legittimità dell'assunzione temporanea, verifica che, per come evidenziato, non può essere fatta a posteriore ricercando tra le varie giustificazioni contemplate quella che meglio potrebbe assicurare la validità della clausola.
Pare opportuno al riguardo precisare che alla luce della nuova disciplina legislativa e della specificità da questa richiesta non vi è più alcun spazio normativo legittimante l'utilizzo di una "doppia causale", a cui da anni ed in numerosissime occasioni ha fatto ricorso la convenuta con decisioni contrastanti della giurisprudenza di merito in ordine alla legittimità della stessa.
L'indicazione di più cause diverse del termine per un verso impedisce al lavoratore ed all'interprete di conoscere con certezza quale delle due sia la causa giustificativa e per altro verso l’una costituisce la negazione, la contraddizione dell'altra e si risolve in ogni caso in una assenza di "specificità”.
L'accertato contrasto con l'art. 1\2° c. d.lvo n. 368\01 comporta la nullità della clausola, nullità che va dichiarata anche sotto altro profilo.
Sebbene il d.lvo n. 368 non riproduca la previsione di cui all'art. 3 della legge n. 230\62 non può dubitarsi che l'onere di fornire la prova della rispondenza della clausola appositiva del termine alle previsioni legali grava sul datore di lavoro e ciò in base al generale principio di cui all'art. 2697 c.c., così come tassativamente previsto in case di proroga dall'art. 4 del citato d.lvo.
Pertanto la società resistente avrebbe dovuto provare l'esistenza delle esigenze genericamente indicate e il rapporto di causalità tra queste esigenze non fronteggiabili con l’impiego di personale fisso e l’assunzione a termine della ricorrente; in altre parole, spetta a chi invochi la legittimità della stipulazione a termine dimostrare la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine e le ragioni sottese alla previsione astratta di ammissibilità della stipulazione stessa.
A tale onere la società non ha affatto adempiuto, così come in passato nelle numerose controversie instaurate nel vigore della precedente disciplina sostenuta dal richiamo a clausole derogatorie di fonte pattizia allora legate ai vari processi di riorganizzazione disposti dalla società nella sua trasformazione in spa, processi che a tutt'oggi proseguono sebbene convogliati nelle procedure di mobilità.
Orbene, come già osservato in passato sia in decisioni di questo giudice che in quelle numerosissime altre decisioni intervenute in identiche fattispecie, va rilevato che le stereotipate e tendenzialmente standardizzate deduzioni della Poste Italiane s.p.a., tanto espositive, quanto istruttorie risultano assolutamente inadeguate ai fini della rappresentazione e della pedissequa accurata dimostrazione del luogo, del tempo, del settore e delle mansioni o delle posizioni di lavoro relativamente ai quali la complessa ed estesa ristrutturazione ed riorganizzazione aziendale richiamata in narrativa abbia imposto ovvero quanto meno reso necessario, in attesa della definizione ultimativa del riassetto divisato in corso di attuazione, il ricorso ad una o a più assunzioni a termine e specificamente a quella della ricorrente.
La memoria di costituzione si limita ad affermare che l'onere della prova sancito dall'art. 3 1. n. 230\62 (non applicabile ratione temporis) non può essere interpretato come probatio diabolica, onere che, invece, è stato di recente ribadito nel suo rigore dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ad analoga fattispecie (Cass. 13458\03) ovvero ad assumere la illegittimità della disposizione dell'art. 25 ccnl.
La difesa della società si incentra esclusivamente sulla dimostrazione della rispondenza della clausola appositiva del termine alla disposizione contrattuale, che non è stata neppure richiamata nell'allegato contratto, tralasciando totalmente di dimostrare l'effettiva e concreta rispondenza della assunzione in esame alle seppur generiche e contraddittorie esigenze organizzative invocate.
Ed allora, indipendentemente da ogni valutazione circa l'astratta illegittimità di detta clausola, vale il rilievo decisivo dell'inidoneità delle deduzioni datoriali, formanti altresì oggetto delle conformi istanze di prova (istanze alle quali è estraneo ogni riferimento alla posizione della ricorrente ed alla situazione organizzativa della filiale cui la medesima e stata addetta), a giustificare la stipulazione del contratto a termine impugnato nell'ambito della previsione generale di fonte legale ivi richiamata.
Le allegazioni di fatto e probatorie contenute nella memoria appaiono idonee a provare l'esistenza di una complessa manovra riorganizzativa in atto nella s.p.a. Poste Italiane, a descrivere i momenti ed i tempi ed ad individuare le ragioni di alcuni ritardi nei tempi dei vari momenti, ma vicende tutte anteriori alla stipulazione del presente contratto ed ad esso estranee.
Non può condividersi la prospettazione difensiva della convenuta che vorrebbe ridurre il rigido onere probatorio su di essa gravante ad un onere di generica ed astratta allegazione per il quale sarebbe sufficiente aver dimostrato l'attuazione di un processo di riorganizzazione per ritenere indistintamente dimostrata la legittimità di tutti i contratti a termine stipulati con il mero richiamo a detta causale.
Una tale interpretazione oltre a porsi in contratto con i principi generali dettati dall'art. 2697 c.c. finisce di fatto con il sottrarre al giudice il sindacato sulla legittimità o meno della clausola appositiva del termine e con l'impedire al lavoratore un'effettiva tutela dagli abusi (cfr la già richiamata Cass. 13458\03).
Va, inoltre, osservato che per quanto attiene l'ipotesi della sostituzione per ferie recentemente la S.C. (n. 18354\03), cui questo giudice ritiene di adeguarsi, che l'assunzione a termine per sostituzione di lavoratori assenti per ferie è autorizzata dal contratto collettivo e deve rispondere, necessariamente, a tutti i requisiti indicati dall'art. 1\2° c. legge n. 230\62 e, pertanto, la lettera di assunzione deve contenere il nominativo del dipendente da sostituire ed il periodo della sostituzione, che è onere del datore di lavoro di fornire la prova della relazione causale tra situazione di fatto legittimante ed assunzione a termine del sostituto e non può farsi ricorso al "fatto notorio" che nei mesi tra giugno e settembre il personale dipendente delle Poste è solito godere massicciamente di un prolungato periodo di ferie.
Come nel caso esaminato dalla Corte anche in quello all'esame di questo giudice nel contratto di assunzione è stata omessa l'indicazione del nominativo del dipendente sostituito, né è stata fornita valida prova (essendo assolutamente generico il capitolato articolato) che, almeno, sotto un profilo complessivo, le assunzioni a termine non ebbero a superare - quanto a numero di ore - le assenze del personale assente per ferie e nè tanto meno è stata fornita dimostrazione della relazione causale tra situazione astrattamente legittimante e l'assunzione del ricorrente.
Accertata la carenza di valida allegazione e prova delle condizioni di fatto sottese alla causale formalizzata e l'assenza di specifica indicazione di un elemento essenziale va conseguentemente dichiarata nulla la clausole con cui è stato apposto il termine, rimanendo assorbita ogni altra questione prospettata.
Alcune considerazioni si impongono in ordine alle conseguenze di tale accertata nullità.
La clausola appositiva del termine, per le ragioni esposte, a nulla per contrarietà a norma imperativa di legge ex art. 1418 c.c., nullità che non investe l'intero contratto bensì il solo patto con cui stabilita la limitazione temporale atteso che la disciplina limitativa legale attiene esclusivamente ad esso.
Ed invero il nuovo d.lvo n. 368\01 all'art. 1 sancisce l'inefficacia del termine sia in assenza di atto scritto sia nel caso di omessa specificazione delle ragioni giustificative che costituisce oggetto necessario dell'atto scritto, con un'espressione identica a quella già contenuta nell'art.1\3° c. legge n. 230\62, pertanto in questi casi - e si è già esposto come la clausola apposta al contratto in esame difetti della dovuta specificità - si instaura indiscutibilmente tra le parti un rapporto a tempo indeterminato.
Ad analoga conclusione deve giungersi anche nella diversa ipotesi di mancata giustificazione del termine.
Si è già esposto che in assenza di una previsione espressa come quella contenuta nel vecchio art. 1 legge n. 230\62 deve trovare applicazione il regime generate delle nullità ed in particolare il secondo comma dell'art. 1419 c.c. in base al quale la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, previsione che trova applicazione senza necessità che la disposizione inderogabile ne imponga e disponga espressamente la sostituzione. La locuzione codicistica "sono sostituite di diritto" va, infatti, interpretata non nel senso dell'esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina.
Non può ragionevolmente e fondatamente negarsi che anche dopo l'entrata in vigore del d.lvo n. 368\01 l'apposizione del termine al rapporto di lavoro subordinato costituisce deroga al principio generale secondo cui detto rapporto, per sua natura, è a tempo indeterminato per come ritenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Ed invero la S.C. ha affermato che il d.lvo n. 368\01, espressamente ridisciplinando la materia, consente in via generale "l'apposizione d'un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (la giustificazione del termine è delimitata con un parametro che richiama quello che, nell’ambito del potere datoriale ex art. 41 Cost., consente – in più ristretto spazio, che non prevede ragioni di carattere “sostitutivo”- il trasferimento del lavoratore ex art. 2103 cod. civ., e quello che – in uno spazio maggiormente ristretto, che non prevede ragioni di carattere "organizzativo" - consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604). L'indicata tendenza (alla progressiva apertura al termine contrattuale), tuttavia, aveva (e tuttora conserva) il proprio limite (confermato anche da Corte cost. 7 febbraio 2000 n. 41) nella Direttiva comunitaria 28 giugno 1999 n. 70 (emessa in attuazione dell'Accordo quadro concluso i1 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali, ove si "considera che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualita' della vita dei lavoratori interessati ed a migliorare il rendimento", si afferma la necessità che il termine abbia giustificazione in condizioni oggettive, e si fissano principi per evitare abusi derivanti dall'utilizzazione dei contratti a tempo determinato). E questo limite, espressamente richiamato dal nomen e dal preambolo, è recepito nel fondamento stesso del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368: poiché per il contratto a termine è necessario un atto scritto e motivato (art. 1 secondo comma) ed illegittime proroghe vanificano il termine stesso (art. 5 secondo, terzo e quarto comma), il termine costituisce deroga d'un generale sottinteso principio: il contratto di lavoro subordinato, per sua natura, non e' a termine (Cass. n. 7468\02).
In conclusione accertata anche la mancanza di giustificazione alla clausola appositiva del termine, il contratto in esame, ex art. 1419\2° c. c.c., deve considerarsi ab origine a tempo indeterminato
1. Quanto alle ulteriori conseguenze economiche, va osservato che secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. 17.10.2001, n.12697; cfr. anche Cass. 17.6.1998, n.6056 e Cass. 7.2.1996, n.976) per i periodi cc.dd. non lavorati non esiste un obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, ma solamente un obbligo risarcitorio, parametrato alla retribuzione non percepita, a partire dal momento in cui il lavoratore ha messo a disposizione le proprie energie lavorative.
In ordine alle conseguenze di detto accertamento, conformemente alla giurisprudenza della S.C. (sent. n. 7471191 e sent. 2334\91 e da ultimo S.U. n. 14381\02) che ben può ritenersi ancora applicabile, va osservato che: la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato attribuisce al dipendente il diritto di riprendere il suo posto di lavoro e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato: non è applicabile il disposto dell'art. 18 stat. lav. in quanto. trattandosi di azione di nullità parziale del contratto. non è invocabile la disciplina limitativa dei licenziamenli, mancando un atto o comportmento negoziale, unilaterale, del datore di lavoro, risolvendosi il rapporto con la mera scadenza del termine: gli intervalli non lavorati tra i singoli contratti a termine non devono essere retribuiti, giacchè difettando la prestazione lavorativa (od un'offerta di prestazione rifiutata dal datore di lavoro), viene meno il sinallagma funzionale e dunque l'obbligazione retributiva.
Dalla dichiarazione di sussistenza del rapporto a tempo indeterminato fra le parti, consegue che l'estromissione della ricorrente dall'azienda per la pretesa scadenza del termine da ritenere
tamquam non esset ed il rapporto continua con le contrattuali reciproche obbligazioni (Cass. n. 13977\91).
Nel caso in esame la parte ricorrente ha messo in mora la società convenuta con raccomandata ricevuta il 26.5.04, per cui è da tale data che deve decorrere l'obbligo risarcitorio della società, parametrato alla retribuzione contrattuale mensile, e fino alla data di effettivo ripristino, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come i dispositivo
Tali i motivi della decisione in epigrafe.]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 31.5.05 e ritualmente notificato S.A. conveniva in giudizio la S.p.a. Poste Italiane esponendo che:
erano stati assunti a tempo determinato ed applicati presso l'ufficio postale di B. con un contratto, relativo al periodo dal 18.6.03 al 15.9.03 motivato:
"A i sensi dell'art 1 d.lgs 368\01 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'area operativa e addetto al servizio recapito assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro"
Deducevano in diritto - sotto più profili - la nullità del termine apposto ai contratti e conseguentemente chiedeva accertarsi la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di efficacia del prima contratto, con contestuale condanna della società alla riammissione in servizio e alla corresponsione della quantificata retribuzione dalla data della cessazione illegittima del rapporto e fino alla riammissione, oltre rivalutazione e interessi dalla maturazione al saldo.
Con deposito di memoria difensiva si costituiva in giudizio la S.p.a. Poste Italiane, la quale preliminarmente eccepiva la inammissibilità della domanda; nel merito ne contestava la fondatezza e ne chiedeva i1 rigetto.
In particolare deduceva che la recente trasformazione della società aveva reso necessaria una ristrutturazione e riorganizzazione dell' attività produttiva con conseguente squilibrio occupazionale, in termini di carenza da un lato e di esubero dall'altro, che aveva determinato, unitamente al ricorso alla mobilità collettiva per consentire il trasferimento del personale, anche l'utilizzo di contratti a termine per sopperire a tali contingenti carenze di risorse lavoro nelle attività produttive. Evidenziava inoltre che in data 18.1.2001 era stato raggiunto un accordo con le OO.SS. firmatarie del CCNL, con il quale, con specifico riferimento ai contratti a tempo determinato stipulati da Poste Italiane S.p.a., le parti ribadivano che i contratti medesimi, disposti secondo quanto previsto dall'art. 8 del CCNL 26.1.1994 così come modificato, in attuazione dell'art. 23 della legge 56/1987, dall'accordo integrativo del 25.9.1997, si erano resi necessari in conseguenza degli avviati processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale.
All'odierna udienza i ricorrenti rinunciavano alla domanda di reintegra nel contempo insistendo nella richiesta di condanna della controparte al pagamento delle retribuzioni a far data dalla costituzione in mora individuabile nel telegramma esibito o in alternativa nella richiesta di tentativo di conciliazione; la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata.
Innanzitutto va determinata la disciplina normativa cui le clausole apposte ai predetti contratti vada ricondotta.
Il contratto è stato stipulato nella vigenza del d.lvo n. 368\01, ma tale rilevante circostanza non ha formato oggetto di alcuna deduzione nè da parte della ricorrente nè da parte della convenuta, avendo entrambe riprodotto allegazioni ed argomentazioni standard di analoghi giudizi relativi a contratti stipulati nel vigore della legge n. 230\62 e dell'art. 25 ccnl 11\1\01.
L'art. 1\1° c. d.lvo n. 368\01 prevede che è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. L'art. 11\2° c. del citato d.lvo prevede che in relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'art. 23 della legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi ed in base a tale disposizione manterrebbe efficacia l’art. 25 ccnl dell'11\1\01.
La clausola contrattuale si limita a fare riferimento alla "vigente normativa" senza con ciò fornire chiare indicazioni atteso che "vigenti" sono sia la disposizione dell'art. 11 che quella dell'art. 1. Se da un lato la causale apposta al contratto riproduce in parte la generica formulazione dell'art. 25 ccnl dell'11\1\01 le ulteriori indicazioni in essa contenute la distinguono da tale previsione, dandole una connotazione propria che fa propendere piuttosto per la tesi che la disciplina cui le parti hanno inteso fare riferimento e quella innovativa introdotta dall'art. 1.
Fatta tale precisazione ed in relazione ad essa che vanno valutate le deduzioni delle parti a prescindere dai non corretti riferimenti contrattuali e normativi dalle stesse utilizzati, in una interpretazione complessiva delle allegazioni in esse contenute e nel rispetto del generale principio di "salvezza degli atti", lamentando da una parte la ricorrente l'infondatezza della motivazione addotta e dall'altro la società difendendo la propria scelta.
E' noto che con il d.lvo n. 368\01 si è inteso, innovando la vecchia disciplina, dare attuazione alla direttiva 1999\70\CE e con l'art. 1 si è stabilito che "è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (comma 1°). Tali ragioni devono necessariamente essere specificate nell'atto scritto (I'accordo) con cui viene apposta la clausola del termine (comma 2°); quindi non è valido un mero richiarno alla previsione legale (assai generica ed ampia), ma occorre individuare in modo preciso le ragioni concrete che giustificano l'apposizione del termine, considerato che anche la nuova disciplina, per come di seguito meglio chiarito, sancisce l’eccezionalità di una durata temporanea del rapporto di lavoro subordinato.
La necessità di una puntuale specificazione risponde alle vincolanti indicazioni contenute nella citata direttiva che consente l'utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo solo se basati su ragioni oggettive e ciò al fine di prevenire abusi (art. 6 accordo del 18\3\99 cui la direttiva ha dato attuazione).
Pertanto è necessario, per come affermato anche da uno dei primi commentatori della legge, che tali ragioni emergano preventivamente dall'accordo scritto, onde evitare un'inammissibile ricerca a posteriori di una giustificazione per la avvenuta copertura a termine di un'occasione permanente; di fatto l'accresciuto rigore formale bilancia l'allargamento della giustificazione sostanziale di fonte legate. Le ragioni devono essere "specificate" e quindi non bastano formulazioni generiche o di stile, ma necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell'occasione lavorativa oppure l'oggettiva esigenza di utilizzare il lavoro a termine nonostante il carattere permanere dell'occasione di lavoro.
Con riferimento al caso in esame tale requisito non appare rigorosamente rispettato.
Non può certo ritenersi specifica la causale utilizzata nel contratto impugnato dove si fa generico ed indifferenziato riferimento ad una varietà di "esigenze", spaziando da quelle tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ad esigenze conseguenti all'introduzione e\o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi ed ancora a quelle relative all'attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11\1\02 ed anche la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo.
Le richiamate causali non possono certo definirsi "specifiche" nell'accezione legislativa concretandosi in varie formule generiche, riferite a diverse e distinte ipotesi che finiscono per rendere impossibile la verifica della legittimità dell'assunzione temporanea, verifica che, per come evidenziato, non può essere fatta a posteriore ricercando tra le varie giustificazioni contemplate quella che meglio potrebbe assicurare la validità della clausola.
Pare opportuno al riguardo precisare che alla luce della nuova disciplina legislativa e della specificità da questa richiesta non vi è più alcun spazio normativo legittimante l'utilizzo di una "doppia causale", a cui da anni ed in numerosissime occasioni ha fatto ricorso la convenuta con decisioni contrastanti della giurisprudenza di merito in ordine alla legittimità della stessa.
L'indicazione di più cause diverse del termine per un verso impedisce al lavoratore ed all'interprete di conoscere con certezza quale delle due sia la causa giustificativa e per altro verso l’una costituisce la negazione, la contraddizione dell'altra e si risolve in ogni caso in una assenza di "specificità”.
L'accertato contrasto con l'art. 1\2° c. d.lvo n. 368\01 comporta la nullità della clausola, nullità che va dichiarata anche sotto altro profilo.
Sebbene il d.lvo n. 368 non riproduca la previsione di cui all'art. 3 della legge n. 230\62 non può dubitarsi che l'onere di fornire la prova della rispondenza della clausola appositiva del termine alle previsioni legali grava sul datore di lavoro e ciò in base al generale principio di cui all'art. 2697 c.c., così come tassativamente previsto in case di proroga dall'art. 4 del citato d.lvo.
Pertanto la società resistente avrebbe dovuto provare l'esistenza delle esigenze genericamente indicate e il rapporto di causalità tra queste esigenze non fronteggiabili con l’impiego di personale fisso e l’assunzione a termine della ricorrente; in altre parole, spetta a chi invochi la legittimità della stipulazione a termine dimostrare la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine e le ragioni sottese alla previsione astratta di ammissibilità della stipulazione stessa.
A tale onere la società non ha affatto adempiuto, così come in passato nelle numerose controversie instaurate nel vigore della precedente disciplina sostenuta dal richiamo a clausole derogatorie di fonte pattizia allora legate ai vari processi di riorganizzazione disposti dalla società nella sua trasformazione in spa, processi che a tutt'oggi proseguono sebbene convogliati nelle procedure di mobilità.
Orbene, come già osservato in passato sia in decisioni di questo giudice che in quelle numerosissime altre decisioni intervenute in identiche fattispecie, va rilevato che le stereotipate e tendenzialmente standardizzate deduzioni della Poste Italiane s.p.a., tanto espositive, quanto istruttorie risultano assolutamente inadeguate ai fini della rappresentazione e della pedissequa accurata dimostrazione del luogo, del tempo, del settore e delle mansioni o delle posizioni di lavoro relativamente ai quali la complessa ed estesa ristrutturazione ed riorganizzazione aziendale richiamata in narrativa abbia imposto ovvero quanto meno reso necessario, in attesa della definizione ultimativa del riassetto divisato in corso di attuazione, il ricorso ad una o a più assunzioni a termine e specificamente a quella della ricorrente.
La memoria di costituzione si limita ad affermare che l'onere della prova sancito dall'art. 3 1. n. 230\62 (non applicabile ratione temporis) non può essere interpretato come probatio diabolica, onere che, invece, è stato di recente ribadito nel suo rigore dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ad analoga fattispecie (Cass. 13458\03) ovvero ad assumere la illegittimità della disposizione dell'art. 25 ccnl.
La difesa della società si incentra esclusivamente sulla dimostrazione della rispondenza della clausola appositiva del termine alla disposizione contrattuale, che non è stata neppure richiamata nell'allegato contratto, tralasciando totalmente di dimostrare l'effettiva e concreta rispondenza della assunzione in esame alle seppur generiche e contraddittorie esigenze organizzative invocate.
Ed allora, indipendentemente da ogni valutazione circa l'astratta illegittimità di detta clausola, vale il rilievo decisivo dell'inidoneità delle deduzioni datoriali, formanti altresì oggetto delle conformi istanze di prova (istanze alle quali è estraneo ogni riferimento alla posizione della ricorrente ed alla situazione organizzativa della filiale cui la medesima e stata addetta), a giustificare la stipulazione del contratto a termine impugnato nell'ambito della previsione generale di fonte legale ivi richiamata.
Le allegazioni di fatto e probatorie contenute nella memoria appaiono idonee a provare l'esistenza di una complessa manovra riorganizzativa in atto nella s.p.a. Poste Italiane, a descrivere i momenti ed i tempi ed ad individuare le ragioni di alcuni ritardi nei tempi dei vari momenti, ma vicende tutte anteriori alla stipulazione del presente contratto ed ad esso estranee.
Non può condividersi la prospettazione difensiva della convenuta che vorrebbe ridurre il rigido onere probatorio su di essa gravante ad un onere di generica ed astratta allegazione per il quale sarebbe sufficiente aver dimostrato l'attuazione di un processo di riorganizzazione per ritenere indistintamente dimostrata la legittimità di tutti i contratti a termine stipulati con il mero richiamo a detta causale.
Una tale interpretazione oltre a porsi in contratto con i principi generali dettati dall'art. 2697 c.c. finisce di fatto con il sottrarre al giudice il sindacato sulla legittimità o meno della clausola appositiva del termine e con l'impedire al lavoratore un'effettiva tutela dagli abusi (cfr la già richiamata Cass. 13458\03).
Va, inoltre, osservato che per quanto attiene l'ipotesi della sostituzione per ferie recentemente la S.C. (n. 18354\03), cui questo giudice ritiene di adeguarsi, che l'assunzione a termine per sostituzione di lavoratori assenti per ferie è autorizzata dal contratto collettivo e deve rispondere, necessariamente, a tutti i requisiti indicati dall'art. 1\2° c. legge n. 230\62 e, pertanto, la lettera di assunzione deve contenere il nominativo del dipendente da sostituire ed il periodo della sostituzione, che è onere del datore di lavoro di fornire la prova della relazione causale tra situazione di fatto legittimante ed assunzione a termine del sostituto e non può farsi ricorso al "fatto notorio" che nei mesi tra giugno e settembre il personale dipendente delle Poste è solito godere massicciamente di un prolungato periodo di ferie.
Come nel caso esaminato dalla Corte anche in quello all'esame di questo giudice nel contratto di assunzione è stata omessa l'indicazione del nominativo del dipendente sostituito, né è stata fornita valida prova (essendo assolutamente generico il capitolato articolato) che, almeno, sotto un profilo complessivo, le assunzioni a termine non ebbero a superare - quanto a numero di ore - le assenze del personale assente per ferie e nè tanto meno è stata fornita dimostrazione della relazione causale tra situazione astrattamente legittimante e l'assunzione del ricorrente.
Accertata la carenza di valida allegazione e prova delle condizioni di fatto sottese alla causale formalizzata e l'assenza di specifica indicazione di un elemento essenziale va conseguentemente dichiarata nulla la clausole con cui è stato apposto il termine, rimanendo assorbita ogni altra questione prospettata.
Alcune considerazioni si impongono in ordine alle conseguenze di tale accertata nullità.
La clausola appositiva del termine, per le ragioni esposte, a nulla per contrarietà a norma imperativa di legge ex art. 1418 c.c., nullità che non investe l'intero contratto bensì il solo patto con cui stabilita la limitazione temporale atteso che la disciplina limitativa legale attiene esclusivamente ad esso.
Ed invero il nuovo d.lvo n. 368\01 all'art. 1 sancisce l'inefficacia del termine sia in assenza di atto scritto sia nel caso di omessa specificazione delle ragioni giustificative che costituisce oggetto necessario dell'atto scritto, con un'espressione identica a quella già contenuta nell'art.1\3° c. legge n. 230\62, pertanto in questi casi - e si è già esposto come la clausola apposta al contratto in esame difetti della dovuta specificità - si instaura indiscutibilmente tra le parti un rapporto a tempo indeterminato.
Ad analoga conclusione deve giungersi anche nella diversa ipotesi di mancata giustificazione del termine.
Si è già esposto che in assenza di una previsione espressa come quella contenuta nel vecchio art. 1 legge n. 230\62 deve trovare applicazione il regime generate delle nullità ed in particolare il secondo comma dell'art. 1419 c.c. in base al quale la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, previsione che trova applicazione senza necessità che la disposizione inderogabile ne imponga e disponga espressamente la sostituzione. La locuzione codicistica "sono sostituite di diritto" va, infatti, interpretata non nel senso dell'esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina.
Non può ragionevolmente e fondatamente negarsi che anche dopo l'entrata in vigore del d.lvo n. 368\01 l'apposizione del termine al rapporto di lavoro subordinato costituisce deroga al principio generale secondo cui detto rapporto, per sua natura, è a tempo indeterminato per come ritenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Ed invero la S.C. ha affermato che il d.lvo n. 368\01, espressamente ridisciplinando la materia, consente in via generale "l'apposizione d'un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (la giustificazione del termine è delimitata con un parametro che richiama quello che, nell’ambito del potere datoriale ex art. 41 Cost., consente – in più ristretto spazio, che non prevede ragioni di carattere “sostitutivo”- il trasferimento del lavoratore ex art. 2103 cod. civ., e quello che – in uno spazio maggiormente ristretto, che non prevede ragioni di carattere "organizzativo" - consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604). L'indicata tendenza (alla progressiva apertura al termine contrattuale), tuttavia, aveva (e tuttora conserva) il proprio limite (confermato anche da Corte cost. 7 febbraio 2000 n. 41) nella Direttiva comunitaria 28 giugno 1999 n. 70 (emessa in attuazione dell'Accordo quadro concluso i1 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali, ove si "considera che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualita' della vita dei lavoratori interessati ed a migliorare il rendimento", si afferma la necessità che il termine abbia giustificazione in condizioni oggettive, e si fissano principi per evitare abusi derivanti dall'utilizzazione dei contratti a tempo determinato). E questo limite, espressamente richiamato dal nomen e dal preambolo, è recepito nel fondamento stesso del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368: poiché per il contratto a termine è necessario un atto scritto e motivato (art. 1 secondo comma) ed illegittime proroghe vanificano il termine stesso (art. 5 secondo, terzo e quarto comma), il termine costituisce deroga d'un generale sottinteso principio: il contratto di lavoro subordinato, per sua natura, non e' a termine (Cass. n. 7468\02).
In conclusione accertata anche la mancanza di giustificazione alla clausola appositiva del termine, il contratto in esame, ex art. 1419\2° c. c.c., deve considerarsi ab origine a tempo indeterminato
1. Quanto alle ulteriori conseguenze economiche, va osservato che secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. 17.10.2001, n.12697; cfr. anche Cass. 17.6.1998, n.6056 e Cass. 7.2.1996, n.976) per i periodi cc.dd. non lavorati non esiste un obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, ma solamente un obbligo risarcitorio, parametrato alla retribuzione non percepita, a partire dal momento in cui il lavoratore ha messo a disposizione le proprie energie lavorative.
In ordine alle conseguenze di detto accertamento, conformemente alla giurisprudenza della S.C. (sent. n. 7471191 e sent. 2334\91 e da ultimo S.U. n. 14381\02) che ben può ritenersi ancora applicabile, va osservato che: la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato attribuisce al dipendente il diritto di riprendere il suo posto di lavoro e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato: non è applicabile il disposto dell'art. 18 stat. lav. in quanto. trattandosi di azione di nullità parziale del contratto. non è invocabile la disciplina limitativa dei licenziamenli, mancando un atto o comportmento negoziale, unilaterale, del datore di lavoro, risolvendosi il rapporto con la mera scadenza del termine: gli intervalli non lavorati tra i singoli contratti a termine non devono essere retribuiti, giacchè difettando la prestazione lavorativa (od un'offerta di prestazione rifiutata dal datore di lavoro), viene meno il sinallagma funzionale e dunque l'obbligazione retributiva.
Dalla dichiarazione di sussistenza del rapporto a tempo indeterminato fra le parti, consegue che l'estromissione della ricorrente dall'azienda per la pretesa scadenza del termine da ritenere
tamquam non esset ed il rapporto continua con le contrattuali reciproche obbligazioni (Cass. n. 13977\91).
Nel caso in esame la parte ricorrente ha messo in mora la società convenuta con raccomandata ricevuta il 26.5.04, per cui è da tale data che deve decorrere l'obbligo risarcitorio della società, parametrato alla retribuzione contrattuale mensile, e fino alla data di effettivo ripristino, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come i dispositivo
Tali i motivi della decisione in epigrafe.